04/11/2010 un po’ più di un paio di domande
a cura di Michela Sacchetto
M.S. ciao Stefano, mi senti?
S.V. ciao, si ti sento bene
M.S. perfetto, ho un po’ di domande da farti…sei d’accordo?
S.V. per me va bene
M.S. ti chiedo solo una cosa, prima di passare a parlare del progetto Rossocubo. Mi incuriosisce il titolo del tuo volume, Egoista. È un titolo che mette l’individuo al centro…esattamente te al centro…un “te” inteso come artista con una propria visione? Un “te” inteso come persona con le proprie pulsioni e i propri vizi?
S.V. sembra un titolo curioso, ma penso appaia più come un titolo coraggioso. E’ vero, nel lavoro Egoista mi sento “al centro”, esprimo me stesso, con un certo piacere per l’esibizione, ma lungi dall’emettere giudizi o fabbricare morali. E’ un lavoro tutto mio, come lo voglio io e penso rimarrà un valido esempio, per me stesso ovviamente
M.S. allora… se inizio c’è… Rossocubo dove e quando ha inizio? Puoi parlarne come se fosse una storia, una sorta di narrazione, dotata di uno sviluppo biografico? magari autobiografico? Come ti scrivevo la scorsa volta, via mail, ho l’impressione che il suo tempo, di Rossocubo intendo, e il tuo tempo coincidano…
S.V. Rossocubo è il nome di un’azione che dura nel tempo. Come ogni fatto storico, è assai difficile comprenderlo nel momento stesso in cui lo si fruisce o lo si crea. Ad oggi comunque, analizzandolo secondo la tua impressione, vi posso far convogliare buona parte del mio percorso di vita. Soprattutto perché Rossocubo è un’azione condivisa e buona parte del mio agire è stato nel costruirmi un ambiente sociale e contemporaneamente nel cercare persone con le quali potermi confrontare. Diciamo pure che Rossocubo è un filtro che contiene il distillato del mio agire e il mio pensare inerenti alle relazioni con le persone
M.S. mi racconti della prima volta in cui hai invitato qualcuno ad assistere a una delle azioni messe in atto in ambiente naturale, azioni che sono all’origine di Rossocubo? Cosa volevi condividere? Cercavi una compartecipazione? Cos’ha significato per te far muovere delle persone, farle andare incontro a una certa situazione…farle incontrare? Cosa ti interessava in questo incontro?
S.V. per un coinvolgimento del pubblico la condizione primaria è dare alcuni semplici elementi da sviluppare con un’attenta guida verso l’azione. Quindi alla base ci vuole l’intenzione di comunicare un proprio pensiero, identificarlo ed esser comunque disposti a modificarlo sulla base dei risultati derivati dall’incontro con questo pubblico. In queste occasioni ho cercato quindi i molteplici punti di vista, i vari e diversi riflessi del mio pensiero originale
M.S. il tuo feedback sull’esperienza? Cosa ti ha spinto a ripeterla, rinnovarla?
S.V. più che modificare un mio pensiero iniziale, ho avuto la conferma e quindi la spinta a continuare nel mio agire. Il ripetere un’azione nasce dalla necessità di verificarla, in condizioni diverse, in contesti vari, in fasi nuove del mio esistere. Tra l’altro, il termine che simboleggiava il primo scambio è stato “swapping-time”
M.S. il tuo fare artistico, nel progetto di cui stiamo parlando, è passato dal voler ricercare un armonia e un equilibrio personali con l’ambiente naturale, a rielaborare la natura come una sorta di pretesto, di mezzo…Come leggi questo passaggio dell’oggetto “natura” da “cosa verso cui” a “cosa attraverso cui”?
S.V. la natura, intesa come altro dall’essere umano, è la condizione ambientale per sviluppare le mie ricerche. Ricerche che vanno poi verso l’uomo, ovvero verso il cercare di infondere nell’uomo la consapevolezza di essere parte del grande disegno naturale e al contempo di poter assaporarne l’unicità. Poi, a piccoli passi, attraverso il “mezzo” naturale, è la complessità delle relazioni tra persone ad esser passata in primo piano. Quando la natura mi “chiamava” e mi “ospitava”, l’azione si esauriva tra due soli soggetti. Il passaggio verso l’ “adottare” l’ambiente naturale è stato dettato dal fatto di voler condividere delle sensazioni, nello stesso modo in cui io vi trovavo uno stimolo. In fondo, volevo che anche altri individui vi scoprissero le infinite realtà
M.S. condividere le sensazioni e, mi sembra, condividere la memoria. Il tuo “adottare” l’ambiente naturale può essere, tra le altre cose, collegato alla questione del farne un luogo di condivisione di tracce, tracce intese come indici di passaggio? Penso all’installazione-performance di Rossocubo nelle valli piemontesi, nel 2008, in cui i cubi rossi fungevano da raccoglitori dei messaggi lasciati dai passanti. Cosa ti interessa nel meccanismo della traccia e quindi dello scaturire della memoria? Qual’è il ruolo della natura in questo meccanismo? Vi è equilibrio tra il tempo e gli spazi biologici e il tempo e gli spazi della memoria umana?
S.V. non penso sia possibile comprendere il nostro tempo né tanto meno la natura che lo genera (o è viceversa?). Un’impronta non genera automaticamente un essere, tuttavia può fungere da motore per la nostra razionalità, così come per la nostra fantasia, in modo tale che sia l’immaginazione a proiettarci effettivamente verso un vivere con interesse e un affrontare il tempo senza paure. Un mero abbandono alla memoria, non lascia spazio al futuro. Usando invece in modo “attivo” la memoria, come richiamo, si vive la condivisione delle idee, la ricerca per crescerle e quindi la loro realizzazione
M.S. la natura come oggetto di memoria condivisa e di ricordi riattivati e riattivabili quindi…una natura che, nel tuo lavoro, è infatti passata dall’essere ambiente che conteneva l’intervento, a traccia, ricordo contenuto nell’intervento stesso, trasportato altrove. A un certo punto, hai scelto di dislocare il senso del tuo lavoro, quella “voglia” o “volontà” di natura, al centro degli spazi che le persone occupano quotidianamente, ovvero la città. Non ti faccio domande…raccontami di questo “certo punto”…un momento, un giorno, una sensazione magari, che hanno accompagnato il percorso dalla montagna all’ambiente urbano
S.V. probabilmente ho preso coscienza del fatto che non tutte le persone sanno come andare verso la natura, anzi, non ne sentono proprio il bisogno. Io penso tuttavia che non ne conoscano il “gusto” e che oggi, soprattutto, non si propenda verso questo genere di esperienza perché non si conosce il fine per il quale eventualmente affaticarsi
M.S. potremmo dire che il tuo progetto intende in qualche modo stimolare la “voglia” e la “volontà” di natura, a sua volta pretesto per stimolare la “voglia” e la “volontà” di una relazione più autentica con il proprio essere e essere con gli altri? Alla base dell’interazione che proponi con Rossocubo, infatti, ci sono una serie di domande sulla coltivazione delle “idee”, le “idee” che sono uno dei costrutti mentali con cui l’uomo dialoga con il mondo esterno. Cosa ti interessa ottenere o osservare scambiando queste domande? ti interessa un qualche risultato, una sorta di statistica? Cosa crea, nell’ambito del tuo lavoro, l’insieme delle risposte che puoi ottenere?
S.V. pretendo che fatte delle domande ci siano delle risposte. Ho “seminato” domande di ogni tipo, con il solo scopo di associarne poi le risposte più disparate. Questo deriva dal mio modo di affrontare un’idea. Un recente lavoro di Rossocubo, è stato associato alla coltivazione di un mini-prato, con l’intento che ogni gesto quotidiano rispecchiasse un metodo e uno stile che potessero poi permeare l’intero nostro modo di vivere. La statistica non è nei miei obiettivi, non ritenendola equa. Al limite è una questione estetica, il veder disposti e ordinati una serie di dati da me raccolti. Per rispondere alla prima domanda, in definitiva, in uno scambio, mi interessa il punto di vista alternativo al mio. Vorrei trasportare un mio sguardo prolungato verso la natura. Parallelamente, se riuscissi a stimolare una qualche azione altrui, vorrei fosse di tipo emulativo, nel senso di “riscoprire” uno stile “naturale”…
M.S. stimolare azioni altrui…molta parte del tuo progetto Rossocubo si basa infatti non solo sulla condivisione della memoria e delle idee, ma anche sulla condivisione di alcune semplici azioni, come la coltivazione di un piccolo prato portatile. Come scegli le azioni che vuoi condividere? La loro pregnanza va otre all’intrinseco valore di “tempo trascorso per se stessi”, a te prezioso? È quello che chiami “valore di scambio”?
S.V. ripeto come sia una questione di stile, intendo dire che un’azione minima e basica come il coltivare un prato può essere utile alla natura, ma non al nostro sostentamento e questo tempo potrebbe quindi risultare “perso” se lo riconducessimo a una logica di mercato. Detto altrimenti, significa che possiamo fare azioni disinteressate, ottenendone però un ricambio di tempo e di consapevolezza
M.S. se al posto di azioni parlassimo di emozioni? Di mappe di emozioni che vuoi tracciare con i tuoi progetti? Geografie condivise, fatte di scambi?
S.V. penso alla società di oggi come un’enorme metropolitana, proprio perché “sotterranea”, intendo dire sul piano umano, degli scambi. Meglio sarebbe se questi avvenissero in un vastissimo giardino, alla luce del sole, così che non esistessero differenze e che le risorse fossero condivise, come pure il tempo, lento…
M.S. ultima domanda, che in realtà non chiede nulla. Potremmo leggere Rossocubo come un passaggio dalla costruzione di un’”unità contenitiva”, a misura delle tue emozioni, ovvero la scatola rossa posta in uno spazio-stanza naturale, alla realizzazione di un’ “unità abitativa”, collocata nell’ambiente urbano, la quale porta le tracce della natura che inizialmente la conteneva. Direi che in qualche modo affiori la questione della reiterazione dell’ambiente scatola-stanza-abitazione, che migrando da una situazione a un’altra e da una dimensione a un’altra, si ripropone come luogo per raccogliere e condividere emozioni
S.V. Probabile. Rossocubo potrebbe anche divenire una casa, ma non vorrei tendesse ad un’automatica esclusione dell’ambiente esterno. E poi se vuoi parlar di abitazioni potrei illustrarti altri progetti…
M.S. Volentieri. Magari ne parliamo la prossima volta di persona. A presto